L'America Latina del 2016: fratture, continuità, prospettive dalla voce di protagonisti dei movimenti sociali

Troppo spesso, la stampa italiana (e non solo)  ha trasmesso l’idea di un ‘contagio’ rivoluzionario in America latina, di un ‘asse’ che accomunava Caracas, l’Avana, Santiago del Cile, Managua, Sao Paolo o Asunción. Che azzerava processi molto specifici e propri di ciascun paese presentando una specie di ‘rinascita’ delle sinistre al potere in quella regione esotica, proprio quando nel resto del mondo molta sinistra scompariva, traslocava, o dibatteva se esisteva ancora la differenza tra sé stessa e la destra.
Le differenze e specificità tra ciascuna delle situazioni nazionali nei vari paesi, invece, sono lampanti. Detto questo, è vero che sulla base di condizioni particolari, tra la fine degli anni Novanta del secolo scorso e gli esordi del XXI secolo, in una serie di paesi hanno raggiunto il potere per via elettorale delle proposte con un discorso politico alternativo all’appiattita applicazione delle ricette neoliberiste. Situazioni ciascuna a sé stante e particolare, riluttante ad essere accostata ad una delle altre, ma che certo hanno potuto affermarsi anche grazie a un clima complessivo di apertura di margini di manovra maggiori rispetto ad altri periodi storici, principalmente nei rapporti con gli Stati Uniti.
E se si può tracciare una mappa che segnali l’insediamento di esperienze innovative di gestione del potere giunte ‘nella stanza dei bottoni’ per via elettorale, senza per questo schiacciarne l’interpretazione in un’unica etichetta fuorviante, si può oggi dire che il 2016 segnala un cambiamento di rotta in molti di questi paesi e probabilmente complessivo e continentale.
Ma per non restringere lo sguardo al solo ambito politico –ed elettorale- va considerato che questi ultimissimi due anni segnano la fine di un ciclo economico di alti prezzi delle materie prime minerarie e degli idrocarburi, che hanno permesso a molti paesi dell’America del sud indicatori di crescita macroeconomica molto importanti. Tutto questo ha portato da un lato, alla possibilità di realizzare massicce politiche redistributive a favore dei ceti poveri (vedi Brasile, ma non solo), ma anche ad un rafforzamento della ‘tradizionale’ posizione di paesi esportatori di materie prime. Il modello estrattivista, tanto denunciato dai movimenti sociali e dalle sinistre latinoamericane, è restato valido, vigente e operante anche nei paesi governati da forze progressiste.

Questa percezione sull’urgenza di riflettere sul presente di una realtà che ci è ‘vicina’ (per esperienza di tante persone di Terra Nuova, per la storia stessa dell'associazione, per la convinzione che l’America Latina è e continuerà ad essere un laboratorio politico e sociale importante a livello internazionale), è stata la ragione che ci ha spinto a chiedere ad alcuni analisti della realtà latinoamericana, a persone impegnate nei movimenti sociali (e come tali, compagni di strada anche di Terra Nuova nei progetti di solidarietà e cooperazione realizzati), ad amici e amiche, soci/e di darci un punto di vista sulle prospettive del paese in cui vivono, ed in particolare Nicaragua, El Salvador, Colombia, Ecuador, Perù, Brasile, Colombia e Cile.
La nostra attenzione si concentra sulle relazioni tra movimenti e politiche pubbliche, soprattutto rispetto alle politiche economiche e al modello di sviluppo economico. Il dibattito teorico sulla persistenza del modello ‘estrattivista’ anche durante il mandato di governi progressisti, è molto acceso in pressoché tutti i paesi, ma ancora più diffusi e ‘accesi’ sono i conflitti socio-ambientali micro-localizzati là dove imprese forestali, o minerarie o di estrazione di idrocarburi stanno riducendo l’accesso a risorse naturali per la popolazione.
Visualizzati con un’icona di un fuocherello e collocati sulla mappa geografica dell’America latina, i conflitti socio-ambientali apparirebbero come un incendio, come una presenza dominante in tutti i paesi e a prescindere dal tipo di governo in carica. Ma in generale, e questo è un tema di forte interesse per noi e che traspare in molte testimonianze che pubblichiamo, è il rapporto tra i movimenti sociali e i partiti progressisti o nazionalisti al governo, che in alcuni casi erano la rappresentanza politica di tali movimenti che in quasi tutti i paesi è andato in pezzi.

 

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