Una lente d'ingrandimento sull'America Latina di oggi
21 novembre 2016 - Venezuela in fiamme, Argentina con un presidente destrorso che azzera molte realizzazioni dell’era Kirchner, Brasile in mano ad un gruppo di corrotti che sono riusciti a destituire Dilma Roussof con l’accusa di corruzione. Tutto inutile dunque quanto fatto da un quindicennio a questa parte in America latina? Dobbiamo passare dall’esaltazione per l’affermazione come leader di Evo Morales o per il ‘socialismo del XXI secolo’ di Correa in Ecuador, alla cocente sconfitta e quindi alla rinuncia a capire quanto sta avvenendo? Lo sguardo europeo sulle Nuove Indie è stato, proprio fin dall’equivoco iniziale di Cristoforo Colombo e fino ai giorni nostri, fortemente marcato dalle nostre proiezioni e i nostri desideri: un ‘esotico’ addomesticato abitato dai miti e demoni delle culture europee, che poi diviene, quando la realtà non coincide più con tale immagine deformata, il ripostiglio delle idee abbandonate e dei ritratti spodestati.
Per Terra Nuova, associazione che fa cooperazione e solidarietà in America latina da decenni, è sempre stato importante avere una lettura dei contesti dove lavora, e che tale lettura sia scevra da stereotipi e distorsioni. Questo vale anche per l’oggi, cioè un 2016 segnato fortemente da discontinuità nella gestione politica in molti dei paesi della regione, e con l’erodersi del consenso attorno a proposte di cambiamento che si erano affermate, in modo pur diverso, nei primi anni di questo secolo.
Per questa ragione abbiamo iniziato a raccogliere punti di vista di nostri interlocutori in El Salvador, Nicaragua, Colombia, Ecuador, Perù, Bolivia, Brasile e Cile, raccolti in un fascicolo (scaricabile qui). Il 27 ottobre scorso abbiamo poi chiamato alcuni esperti ad un confronto sulle principali dinamiche e sfide presenti nel sub-continente. Abbiamo avuto il privilegio di ascoltare ed interloquire con Alfredo Somoza, Gianni Tognoni, Aldo Garzia, Francesco Martone, insieme ad altre persone ugualmente interessate al tema.
Il ricco dibattito da un lato ha permesso di analizzare con serietà e rigore la natura delle trasformazioni, così come delle continuità, avvenute nel ciclo politico che ora si sta chiudendo. Una delle conclusioni è che le categorie della ‘sconfitta delle sinistre’ o peggio del ‘tradimento’, poco aiutano a comprendere e al contrario tolgono profondità d’analisi. L’indubbio “desencanto” verso il progetto politico della “Convergencia Democrática” in Cile o del PT in Brasile, la preoccupante avanzata di formazioni politiche che marcano con forza la discontinuità in termini di politiche economiche e sociali dei precedenti governi ‘progressisti’ (o nazionalisti), ma ancor più l’apparente impossibilità –anche per governi progressisti- di forzare i limiti dati dal contesto economico e dalla fase di neoliberalismo globale ed estrattivista, lasciano indubbiamente una grande sfida per recuperare consenso all’idea di una trasformazione verso una maggiore giustizia ed equità sociale. E’ sicuramente la fine di un ciclo politico, ci ha detto Aldo Garzia. Un ciclo che era sbocciato con la fine di regimi autoritari, lo spostamento dell’attenzione degli Stati Uniti verso altre aree geografiche, la presenza di leaders carismatici e un ciclo di alti prezzi delle materie prime. Ma che ora va in crisi venendo meno quest’ultimo elemento e per l’emergere –proprio grazie alle politiche redistributive e di intervento statale di questi governi- di nuove domande sociali, di nuovi ceti sociali che chiedono rappresentanza. Questo dato è importante, perché dialetticamente si potrebbe dire che queste esperienze politiche hanno generato le condizioni per essere superate e rifiutate, nella loro incapacità di governare le dinamiche che hanno innescato in società più complesse e segmentate di prima; ma altresì getta una luce diversa e meno pessimista sulle prospettive: è tutto da vedere se i nuovi governi che arriveranno ora sull’onda di questa ‘restauración conservadora’ vorranno davvero o potranno smantellare le conquiste realizzate in termini di efficace lotta alla povertà e redistribuzione di risorse…
Francesco Martone ha impostato il discorso definendo nella fase di capitalismo estrattivo de-regolamentato in cui viviamo, tre livelli su cui lavorare: questa nuova spirale di indebitamento (che è un debito ecologico, un debito sociale e anche economico) a cui contrapporre il ‘buen vivir’, un paradigma etico ma anche politico che riscatta le cosmovisioni indigene e le rielabora come una possibile risposta alla crisi della cultura occidentale che si è auto-proclamata ‘universale’ ma oggi non riesce a dare risposte all’uomo e alla società; i disastri dell’estrattivismo selvaggio a cui contrapporre il superamento della matrice di spoliazione cieca per il lucro immediato; e la restrizione della democrazia ai suoi aspetti più formali, mentre vogliamo spingere per una democrazia reale e partecipata. Le trasformazioni -certo: anche drastiche e dolorose- e le contraddizioni sono anche opportunità. Opportunità per ripensare certe categorie; come per esempio il lavoro intellettuale di Raúl Zibechi che mette al centro l’esclusione di interi settori sociali, da cui una dicotomia ‘abajo/arriba’ (come sguardo analitico sulle società latinoamericane che prende in considerazione l’accesso a opportunità, servizi, risorse e diritti) che forse oggi è più utile di definizioni quali ‘sinistra/destra’; o il lavoro di Edgardo Lander. Si tratta di lavorare ora, nella nuova situazione, perché non ci siano passi indietro nelle politiche sociali e nella partecipazione popolare, perché l’arretramento nello scenario politico non significhi necessariamente arretramento nella società.
Alfredo Somoza ha sottolineato come le esperienze degli ultimi 15 anni in vari paesi latinoamericani si possano definire ‘democrazie redistributive’, con importanti politiche che priorizzavano il sociale, ma senza un’idea vera dal punto di vista degli aspetti produttivi, senza un’investimento sul futuro e sul modello economico di paese… Sono mancate delle profonde riforme istituzionali (riforme dello stato, del sistema fiscale), sulla terra; permangono vizi autoritari e il fenomeno della corruzione è pervasivo; l’insicurezza personale e gli alti livelli di delinquenza comune rinchiudono le persone nella paura, aprendo spazi per proposte autoritarie e securitarie. Ma il vero tema di interesse è il cattivo stato di salute dei movimenti sociali: saccheggiati di idee, di pratiche, utilizzati come cinghia di trasmissione; con dirigenti cooptati o denigrati e perseguiti qualora non allineati all’ ‘oficialismo’. In qualche modo emblematico il caso delle ‘Madri de Plaza de mayo’, una storia importante di dignità e difesa dei diritti umani in Argentina, ora invischiate in un’inchiesta giudiziaria spiacevole poiché incaricate durante il mandato di Cristina Kirchner di seguire l’edilizia popolare.
Gianni Tognoni ha in particolare voluto scavare sul senso e ruolo della cooperazione internazionale oggi, in questo contesto. Nell’attuale sistema transnazionale, con gli accordi commerciali che ridisegnano il pianeta, il ruolo delle imprese, il ruolo delle entità di integrazione sovranazionale come la UE… Le domande provocatorie hanno aiutato a individuare piste di riflessione critica delle ‘ong di cooperazione’ per ritrovare un ruolo che non sia di ingenua ‘neutralità’ o di palliativi dell’intervento pubblico sempre minore. Lo spazio forse potrebbe essere proprio quello di creare collaborazione e cooperazione tra le aree di resistenza a livello internazionale. In qualche modo si è detto che si intende riproporre la cooperazione non-governativa come un luogo di analisi e informazione, ancor più nel ‘vuoto’ che si riscontra in Italia ed Europa sulle politiche internazionali. Garzia in particolare ha argomentato che da ‘sopravvissuti della stagione gloriosa’ della solidarietà in Italia, ci tocca una responsabilità e uno sforzo di memoria per raccontare e trasmettere i valori e le pratiche della cooperazione ai giovani.
Il dibattito si è concentrato in parte sulla reale utilità delle categorie “abajo/arriba” (mettendo al centro quindi l’esclusione, ma che suggeriva Garzia potrebbe essere un ben povero sostituto della ‘vecchia’ analisi della composizione di classe) al posto di sinistra/destra, usurate e ormai con poca ‘presa interpretativa’. Ma vi sono anche stati interventi che segnalavano l’importanza del ripartire dalla terra, dalla ‘chacra’ o ‘finca’ –cioè dall’appezzamento ad uso agricolo per le famiglie rurali- come elemento culturale importante. C’è un’emergenza per la politica e per i partiti democratici e c’è un’emergenza della società civile organizzata.. ma soprattutto è mancato un lavoro culturale, a detta di molti dei presenti.
Moltissimi gli spunti di riflessione, che ora a maggior ragione, dopo l’elezione di Trump alla presidenza degli USA, richiedono approfondimento e azione.
Foto: "Memorial de América Latina" - Oscar Niemeyer (San Paolo, Brasile). Ph: Roberto Alegre via Flickr