Sud Sudan: l'ONU teme una ripresa delle ostilità

15 luglio 2016 - Dall’8 luglio fino a lunedì  Juba, la capitale Sud-Sudanese, è stata teatro di ferocissimi scontri. In queste ore la pace - nello Stato più giovane del mondo sorto per secessione dal Sudan nel 2011 - è messa seriamente in crisi.

Almeno 300 persone sono morte nelle  violenze che hanno infiammato la capitale e che si sono concluse con un cessate il fuoco lo scorso lunedì, dopo sollecitazioni da parte dell’ONU che ha anche disposto l’invio di caschi blu supplementari a difesa della popolazione. La situazione, però, secondo gli osservatori, è ancora sul punto di esplodere.

Ma quando e perché ha avuto inizio tutto questo? Alla fine del 2013 l'attuale presidente sud-sudanese Salva Kiir e il vice presidente Riek Machar sono entrati in rotta di collisione. Nel dicembre dello stesso anno, hanno avuto luogo i primi combattimenti. Riek Macher è fuggito per evitare di essere ucciso. Una parte dell’esercito lo ha raggiunto, sostenendolo. Da quel momento in poi, gli eventi sono precipitati. Per tre mesi, violenze si sono sommate ad altre violenze fino a quando non è stato siglato un accordo di pace. Le truppe hanno tentato di coesistere nella capitale, per qualche mese, anche grazie alla forte pressione regionale. Ma non si trattava di una posizione condivisa e, da aprile 2016, la tensione ha ricominciato a crescere fino ad esplodere venerdì scorso.  

“Voglio che Riek Machar, primo vice presidente della Repubblica, sia al mio fianco per costruire insieme la strada per la pace” ha dichiarato il presidente Kiir nella giornata di ieri. “Gli ho parlato e gli ho chiesto di venire qui, ma è stato difficile per lui accettare. Ignoro, tuttavia, dove si trovi”, ha aggiunto.

Il rischio, secondo gli osservatori internazionali, è che la guerra si allarghi ad altre regioni del paese fino a travalicare i confini nazionali: Salva Kiir, infatti, è sostenuto dalla vicina Uganda. Il Sudan, invece, potrebbe appoggiare Riek Macher, anche in considerazione dei suoi rapporti piuttosto tesi con Kamapala.

La situazione è esplosiva e si temono massacri contro i civili. Troppo spesso, infatti, questi ultimi sono diventati, qui, il facile capro espiatorio dell’una o dell’altra fazione sulla base dell’appartenenza etnica.

Circa 42.000 persone al momento sono in fuga. 7.000 hanno trovato riparo nei campi di protezione allestiti dall’ONU. Ma per quanto? A Malakal, qualche mese fa, i soldati governativi non hanno avuto nessuna remora ad attaccare il campo di protezione delle Nazioni Unite.. 

Fonte | Jeune Afrique

Foto | @wikipedia