Spezzare il ciclo di violenza nella regione centrale del Mali
Una manifestazione, convocata dal Collectif des associations de jeunes de la région de Mopti, si è svolta venerdì 21 giugno a Bamako, capitale del Mali, per dire basta alla spirale di odio e vendetta che sta rendendo invivibile per la popolazione, la regione centrale del Paese. Come noto, il Mali è piombato in un complesso conflitto armato nel 2011, con una ribellione della popolazione Touareg nelle regioni del Nord saldatasi dopo alcuni mesi con una forte componente jihadista; nel marzo 2012, un colpo di stato e la contestuale avanzata di milizie ribelli lungo la principale via di comunicazione giungendo a poche centinaia di chilometri da Bamako, avevano segnato l’internazionalizzazione del conflitto con l’invio di truppe francesi poi affiancate da truppe di vari paesi africani sotto l’egida delle Nazioni Unite (missione MINUSMA) per fermare questa offensiva. Ma anche la presenza di questo corpo militare non è bastata a soffocare del tutto le operazioni di varie e diverse milizie che si muovono in un territorio vasto e di difficile controllo, come è il deserto del Sahara e i contrafforti dell’Adrar des Iforas. Da più di un anno circa, infine, il conflitto si è allargato geograficamente ed ha cambiato natura: l’indebolimento delle istituzioni statali come istanze di mediazione e gestione, nonché la penetrazione a fondo della interpretazione radicale dell’islam politico di cui le varie componenti jihadiste sono rappresentanti, hanno portato a scontri tra milizie e attacchi contro la popolazione nella regione di Mopti, la ‘cerniera’ che salda anche geograficamente il sud del Mali con le regioni del Nord. Il primo gennaio di quest’anno nel villaggio di Koulogon sono state uccise 39 persone; il 23 marzo il villaggio di Ogossagou ha subito il massacro di 160 abitanti, poi il 9 giugno è toccato a Sobane Da, con 35 morti e ancora il 17 giugno a Gangafani e a Yoro, con 41 persone uccise. Questa spirale infernale viene addebitata alla cosiddetta ‘etnicizzazione’ del conflitto, e cioè come vendette incrociate tra popolazione di origine Peul e quella Dogon. La realtà è che troppi interessi economici volano come avvoltoi su questo Paese e questa regione e scommettono sulla sua disgregazione; che troppe armi circolano nel Paese, con troppe vittime civili (tra sfollati, rifugiati, famiglie che hanno perso tutti i loro pochi averi, e anche morti e feriti). Anche noi, nel nostro piccolo, diciamo quindi come i manifestanti a Bamako: «Disons non à la haine», «Une vie est une vie», «Peuls et Dogons sont victimes»…[“diciamo basta all’odio”, “una vita è una vita”, “Peuls e Dogon sono entrambi vittime”].