Sicurezza alimentare: contro la fame occorre investire sulla pastorizia

29 febbraio 2016 - Per secoli, nelle zone più aride del pianeta, la pastorizia e la mobilità stagionale delle greggi hanno permesso di superare molte crisi alimentari dando contemporaneamente slancio alla biodiversità e alla diversificazione delle produzioni sulla base di un uso estremamente razionale ed efficiente del territorio. Eppure, questo settore attraversa oggi una crisi profonda, generata da un mercato che punta all’omologazione e alla concentrazione della terra tagliando e fermando il terreno utile al pascolo. In Africa, soprattutto, i cambiamenti climatici, il land grabbing e le difficoltà di accesso al mercato rischiano di mettere in ginocchio un sistema millenario con il preoccupante moltiplicarsi di crisi alimentari.

Nella zona del Karamoja, in Uganda, ad esempio, ogni 3-5 anni si verificano emergenze alimentari prolungate generate dal perpetuarsi di situazioni di  siccità. E, ogni volta, arrivano puntuali gli aiuti alimentari per la popolazione. Aiuti necessari certo, durante la fase emergenziale, ma mai risolutivi.

Del resto, i dibattiti sulle soluzioni al problema della fame non si contano. Milioni di parole sono spese per inventare infrastrutture, smuovere colossi e lobby, promuovere biotecnologie avveniristiche o improbabili come semi killer per insetti perniciosi. Ma mai – o quasi mai – che nei grandi dibattiti internazionali ci si interroghi realmente sulle cause. Come se l’insufficienza alimentare, in alcuni posti del pianeta, fosse un dato acquisito e incontrovertibile, come se non fosse quasi mai legato all’errata gestione delle risorse e delle proprie potenzialità. E la fame con i suoi vessilli mortiferi, riappare a intervalli regolari.

Per questo, estremamente interessante è un articolo di Oscar Kanyangareng (specialista delle sviluppo e attivista della società civile) apparso sul sito di Daily Monitor, che tenta di fornire risposte alla fame endemica nel Karamoja.

"Le cause dell’insicurezza alimentare cronica, qui, sono: pioggia inaffidabile, regolari crisi di siccità, terreni non troppo fertili, un quadro politico inadeguato e malgoverno. Qualsiasi soluzione duratura ha bisogno di prendere in considerazione questi fattori. Altre cause intermedie, poi, sono servizi veterinari inefficienti e insufficienti, malattie, conflitti e insicurezza che hanno impoverito i capi di bestiame da 3,5 pro capite nel 1963 (censimento FAO 1963) a 1,6 nel 2008 (censimento Ubos 2008). La produzione vegetale è bassa a causa di competenze agricole rudimentali e la mancanza di servizi di supporto di base. Inoltre, il sistema di mercato alimentare distorto eleva i prezzi dei cereali e abbassa quelli del bestiame.”

Ma ci sono, sottolinea Kanyangareng, anche alcuni vantaggi comparativi che occorrerebbe tenere in debito conto nell’analisi: il Karamoja, infatti, ha il 20 per cento dei bovini dell’Uganda, il 16 per cento delle capre e il 50 per cento delle pecore (censimento del bestiame, 2008). Gli abitanti dell’area sono  prevalentemente pastori perché solo in questo modo è possibile aumentare le probabilità di sopravvivenza nelle terre aride. Quando le piogge non cadono, ci si può muovere insieme al bestiame in cerca di acqua e pascoli. Con le colture ciò non può accadere.

“Eppure attualmente, la maggior parte degli interventi ha trascurato lo sviluppo del settore. Il governo nell’ambito delle azioni per garantire la sicurezza alimentare della regione, ad esempio, vi ha destinato solo il 7 per cento. Il resto è andato alle colture e ad altri servizi di supporto. Occorrono misure puntuali e un dipartimento ad hoc  per l'allevamento. Del resto, in un’intervista rilasciata a The Guardian nel settembre del 2011, Jeff Jill, direttore dell’USAID per l’Africa Orientale, dichiarò che “la crisi alimentare nel Corno d’Africa è essenzialmente una crisi di bestiame e questa vulnerabilità è il risultato di una cronica carenza di investimenti.”

Investimenti cui dobbiamo puntare.

 

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