Piccoli lavoratori: i poveri del futuro?
27 gennaio 2014 - Tra fine del 2013 e l’inizio del 2014, hanno fatto molto discutere le proteste che hanno portato a manifestare per le strade della capitale boliviana migliaia di minori che chiedevano la sospensione di una legge che avrebbe impedito loro di continuare a lavorare. Le manifestazioni a La Paz sono state spesso violente e sedate con l'uso di gas lacrimogeni portando milioni di persone in tutto il mondo a porsi domande sul tema così scomodo e scivoloso del lavoro minorile. Il presidente Evo Morales, egli stesso ex bambino lavoratore, ha sottolineato in quei giorni di protesta l’importanza della distinzione tra “lavoro minorile” e sfruttamento.
Una qualche mediazione sul tema è stata infine trovata con l’adozione di un processo inclusivo che prevede un dialogo serrato tra il senato e i rappresentanti dei minori, riuniti nell’Unione dei bambini, delle bambine e degli adolescenti lavoratori della Bolivia (UNATSBO), una sorta di sindacato in cui confluiscono circa 10.000 giovanissimi lavoratori. Da allora, il progetto di modifica al codice del lavoro è discusso in un comitato apposito costituito nell’ambito dell’Assemblea legislativa Plurinazionale. Una delle richieste più sentite portate avanti dai delegati dell’Unatsbo al presidente del senato, Gabriela Montano, è quella di non porre alcun limite di età per il lavoro indipendente (come la vendita ambulante) e di portare ai 12 anni l’età minima per i lavoratori dipendenti.
La reazione contraria degli organismi internazionali non si è fatta attendere imponendo ai parlamentari di trovare un difficile compromesso tra il nuovo codice boliviano, il trattato dell’Ilo che vieta l’impiego di ragazzi e ragazze sotto i 15 anni di età, e la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia per la quale esiste un preciso, fondamentale diritto in capo a ogni minore di “essere protetto contro lo sfruttamento economico e di non svolgere alcun lavoro che possa essere pericoloso, che possa interferire con la sua educazione o che sia nocivo per la sua salute o il suo sviluppo, mentale, spirituale, morale, sociale o fisico ".
Tuttavia, il dibattito sul lavoro minorile rimane aperto e interessa tutta l’America Latina. Secondo le statistiche dell’ILO, infatti, in questa regione del mondo sarebbero almeno 12,5 milioni i bambini e le bambine che svolgono un qualche impiego. Tra questi, 9,6 milioni sarebbero impegnati in attività pericolose e altamente lesive della loro salute e dignità.
In un recente articolo apparso sul El Pais, Guillermo Dema, specialista dell'ILO per l'America Latina e i Caraibi sul tema dell'occupazione giovanile e del lavoro minorile, spiega: “L'ultimo rapporto completo nella terza conferenza mondiale contro il lavoro minorile parla di 168 milioni di minori lavoratori in tutto il mondo. In Asia sarebbero 77,7 milioni mentre in Europa e nei paesi a reddito medio/alto l’incidenza sarebbe nettamente inferiore. Tuttavia, le cause di questo fenomeno non sono sempre legate unicamente a questioni economiche. In alcuni posti, ad esempio nelle regioni andine, le motivazioni sono di ordine culturale poiché il lavoro dei figli e delle figlie è parte integrante dell’organizzazione familiare. Cionondimeno, negli ultimi anni si è registrata una forte inversione di tendenza con il numero di minori impiegati in qualche attività diminuito costantemente dal 2000 a oggi. Tutti i Paesi dell'America Latina, poi, hanno ratificato le Convenzioni 182 e 138, relative alle peggiori forme di lavoro minorile e all'età minima di ammissione al lavoro (15 anni con alcune eccezioni). Tutti gli Stati le hanno adottate tranne il Messico poiché in quest’ultimo caso è necessario modificare la Carta Costituzionale”.
Ma, secondo alcuni responsabili di save the children Messico, tutto questo ancora non è sufficiente perché la capitale del Paese pullula di minori che svolgono attività economiche, soprattutto legate alla vendita ambulante il cui lavoro è ritenuto indispensabile per mantenere le famiglie d’origine. Non mancano, tuttavia, situazioni al limite in cui i piccoli sono in qualche modo legati al traffico di droga.
Intanto, le strategie messe in atto per porre fine allo sfruttamento di bambini e adolescenti sono molteplici. In Colombia , ad esempio, è attivo un piano per la prevenzione e l'eliminazione delle peggiori forme di lavoro minorile - come prostituzione, traffico di droga e reclutamento forzato – attraverso l’ausilio di un’applicazione su smartphone che consente la segnalazione di eventuali minori presenti in contesti a rischio.
In Perù, invece, il governo ha approvato una Strategia nazionale per la prevenzione e l'eliminazione del lavoro minorile entro il 2021. E la necessità è quanto mai viva poiché, qui, secondo l'Istituto Nazionale di Statistica e Informazione, sarebbero non meno di 1,8 milioni i giovani e le giovani di età compresa tra i 6-17 anni “impiegati” in qualche attività lavorativa, spesso nelle miniere illegali e nel trasporto delle sostanze stupefacenti.
Per Guillermo Dema dell'ILO le sfide per invertire la tendenza sono molteplici e non si può certamente prescindere dalla lotta alla disuguaglianza sociale attraverso maggiori investimenti in settori chiave come l’istruzione e lo sviluppo di politiche sociali inclusive. "Non bisogna, poi, dimenticare che la povertà non è solo una delle cause del lavoro minorile, ma anche una delle sue più immediate conseguenze. I bambini lavoratori di oggi, infatti, saranno probabilmente tra i poveri del futuro”.
Fonte | El Pais (http://sociedad.elpais.com/sociedad/2014/02/26/actualidad/1393447651_623541.html)