Niente terra, niente cibo!

7 giugno 2016 - 611 cittadini europei, provenienti da 11 Paesi,  si sono interrogati sulle politiche che i nostri governi dovrebbero adottare per  mettere in scacco la fame. L’80,9% degli intervistati si è dichiarato  fautore di politiche che garantiscano l’accesso alla terra, in via prioritaria, a gruppi emarginati e vulnerabili, come i contadini e le comunità indigene. Il 93,6%, desidererebbe che l’Unione si focalizzasse su processi partecipativi in cui particolare attenzione fosse data alla voce di questi stessi gruppi. Solo il 2,5%, invece, si è espresso a favore di politiche a supporto delle multinazionali e della grande distribuzione organizzata.  

Un punto di vista estremamente interessante che collide fortemente con le idee alla base , ad esempio, della NASAN (Nuova Alleanza per la sicurezza alimentare e la nutrizione) del G8 e che rimettono in discussione una certa idea di cooperazione.

L’Ue negli ultimi anni ha donato 364 milioni di euro in progetti allo sviluppo, proclamandosi il maggiore investitore singolo in questo ambito: un primato di cui andare fieri. Cionondimeno, 800 milioni di individui ancora soffrono la fame e, secondo l’ONU, la principale causa di ciò è la mancanza di un “accesso sicuro ed equo alla terra”: garantirlo costituisce il secondo dei nuovi “obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs)”.  Ma la strade da percorrere per addivenire a questo risultato possono essere molto diverse. E pericolose.

Le 611 persone di nazionalità bulgara, francese, tedesca, italiana, britannica, belga, polacca, romena, svedese e spagnola, che hanno risposto al questionario prodotto nell’ambito della Campagna Hands on the land for food sovereignity non sembrano aver avuto alcun dubbio riguardo alla scelta delle vie da percorrere:  le politiche fondiarie realmente efficaci sono quelle che rafforzano le capacità delle popolazioni di auto alimentarsi. Il 97,7% ritiene che l’Ue dovrebbe supportare politiche fondiarie basate sui diritti umani.

Del resto, pur nella diversità delle vedute, di fronte alla domanda generica:” Qual è il mondo che sogniamo? “ Chiunque su un punto certamente sarebbe d’accordo: un mondo in cui si  possa vivere dignitosamente e serenamente del proprio lavoro, senza la paura del futuro.

Un desiderio in cui, se  da una parte l’indugiare sul  futuro rimanda necessariamente alla sostenibilità ambientale ( e quindi a un certo modo di concepire l’agricoltura), dall’altra parte, permane la necessità  dell’accesso alle risorse e, quindi, in via prioritaria, alla terra e all’acqua. Per tutti.

Per saperne di più sulla campagna Hands on the land for food sovereignty cliccare qui.
 
Foto | Knoll Landscape design