Tanto tuonò che piovve!
Solo che in Sardegna piove latte ovino, piove dai serbatoi, piove dalle autocisterne che ritirano il latte, piove dai bidoni svuotati per terra o sugli edifici dei trasformatori, piove latte di pecora dappertutto.
Era immaginabile che una situazione come quella attuale, che vede pagato il latte al pastore ad un prezzo al litro che varia fra i 55 e i 60 centesimi IVA inclusa, sfociasse in una qualche situazione drammatica che rischia di diventare persino pericolosa, vista la piega che sta prendendo.
Tutte le volte per farsi ascoltare bisogna arrivare a cose eclatanti, ormai è storia vecchia che torna e ritorna ciclicamente da sempre.
Perché succede questo? Io sono convinto che una delle motivazioni principali è che questo settore – che io ritengo strategico sia dal punto di vista economico che da quello ambientale e di presidio del territorio – è stato considerato da molti, in primis le istituzioni, come un settore marginale ed è stato quindi molto spesso lasciato in balia di se stesso, lasciando che tutto si gestisca in modo autonomo.
Questo purtroppo è il metodo adottato dagli industriali e per la verità anche dalle cooperative di trasformazione per la gestione di questo settore.
Per darvi un’idea di come viene gestito il mercato vi dico come è arrivata la crisi attuale del prezzo del latte: come molti di voi sanno, il prodotto principale della nostra produzione è il Pecorino Romano. Il mercato mondiale mediamente richiede un quantitativo di circa 260/270 mila quintali all’anno di tale commodity. Tre anni fa, a causa della precedente crisi del prezzo del latte, i pastori avevano ridotto in maniera drastica la produzione, e questo ha portato ad una produzione di Pecorino Romano inferiore alle richieste del mercato e di conseguenza ad una lievitazione del prezzo che è arrivata ad un prezzo record di circa 11 € al kg. Per tutta risposta, il mondo della trasformazione – forse pesando di fare affari d’oro, visto il prezzo – ha pensato bene, anziché cercare di mantenere in equilibrio la richiesta con la domanda, di produrne 380 mila quintali (il 60 per cento in più di quello richiesto dal mercato). Determinando così il crollo del prezzo ed una quota importante di prodotto invenduto.
Allora, visto questo, non capisco più se sia una totale incapacità a conoscere le più banali regole di mercato o una totale irresponsabilità nella gestione.
Questo purtroppo è quello che succede da quando io ero piccolo, e se non si fa un serio contratto di filiera che tenga conto delle esigenze di tutti e che costringa tutti a una seria programmazione che segua il mercato e non che lo subisca, credo che sia un settore ormai al capolinea, con tutte le conseguenze che ne derivano, e non solo per il mondo della produzione e di tutto l’indotto, che di per sè in Sardegna non è cosa da poco, ma anche per le conseguenze che ne deriverebbero dall’ulteriore abbandono di oltre il 50 per cento del territorio della Sardegna che non si presta ad altra attività ed avrebbe quindi bisogno di essere manutenuto in modo totalmente passivo.
Gavino
Foto: www.ilprimatonazionale.it