La pastorizia associata al terrorismo in Nigeria?

17 giugno 2016 - La necessità della transumanza guida gli spostamenti e le migrazioni da secoli. La simbiosi che scandisce lo stretto legame tra animali ed esseri umani, quando ben gestito, ha nella pastorizia nomade il suo più alto esempio. Non altera equilibri bio-ecologici preesistenti e non teme gli scherzi del clima. Nelle sue forme migliori può costituire un esempio di quel reciproco altruismo - decantato da parte della biologia evolutiva - elevato alla collettività.

Eppure, non mancano i detrattori eccellenti e non solo all'interno dei difensori del mantra pro -agribusiness, che vedono in questo modello un modo arcaico e superato di produzione e di vita. E' il caso di Wole Soyanka, premio Nobel africano per la letteratura, che in un recente articolo dall’eloquente titolo: "Pastoralism or Terrorism?: The Killing Culture of the Neo-Nomadic", pare voglia proprio associare i pastori nomadi al terrorismo di Boko Haram, come forma di invasione e restringimento delle libertà individuali nonché assalto al patrimonio culturale e ambientale condiviso. Dimenticando, in questo modo -  e da un premio nobel difficilmente lo si può mandare giù - che parte di quella cultura tanto decantata nell’articolo è promanazione diretta della pastorizia e dell’agricoltura in genere. Non è un caso, infatti, se il significato della parola agricoltura è proprio  “arte e pratica della coltivazione del suolo e dell’allevamento del bestiame”.

Un’arte da cui discendono la maggior parte delle ritualità collettive e del nostro stesso bagaglio genetico, in quasi ogni parte del mondo e, quindi, portatore di germogli di futuro.