I vestiti nuovi del colonialismo: gli Accordi di Partenariato Economico europei con l'Africa
Da 15 anni, ormai, gli Accordi di Partenariato Economico tra Europa e Paesi ACP hanno dato avvio a negoziazioni complesse, trovando nella gran parte dei casi forti opposizioni, in particolare da parte dei produttori di piccola scala dei Paesi di Africa, Caraibi e Pacifico.
30 agosto 2017 - A partire dal 2002, i Paesi di Africa, Caraibi e Pacifico (ACP) hanno aperto le negoziazioni per degli accordi di libero scambio con l'Unione Europea, più noti come "Accordi di Partenariato Economico" (APE o EPA, in inglese). Nati per diventare la formula magica verso l'industrializzazione e lo sviluppo dei Paesi ACP, si sono rivelati però degli accordi iniqui ancorati ad un forte retaggio coloniale.
Gli APE/EPA hanno trovato numerose opposizioni da parte dei Paesi ACP, non da ultimo per gli effetti devastanti sui contadini di piccola scala. In un recente articolo di Grain, sono stati analizzati i casi di alcuni Paesi africani in cui le comunità portano avanti delle lotte per riappropriarsi del controllo sulle loro stesse risorse e proteggere i propri mercati dal cibo confezionato a basso costo proveniente dall'Europa, così come dai pestici e dagli OGM.
"I produttori di piccola scala africani producono per alimentare le loro comunità e i mercati locali, e non hanno la capacità di nè un reale interesse a produrre per l'Europa" scrive Grain. L'accesso europeo ai mercati africani è senza dubbio lucrativo, indirizzato principalmente all'esportazione di cibo confezionato. Al contrario, il ruolo dei Paesi africani in questi accordi diseguali è quello di esportare le materie prime verso l'Europa, decisamente meno lucrative e meno sostenibili.
L'articolo analizza sapientemente il caso dei Paesi dell'Africa Orientale: "Liberalizzare i mercati degli EAC (East African Countries) vuol dire che i prodotti a basso costo e sovvenzionati provenienti dall'UE possono accedere liberamente nella regione, e paralizzare il settore industriale." Questi accordi, inoltre, avrebbero conseguenze devastanti sull'accesso alla terra, all'acqua, ai semi ed ai mercati territoriali per le popolazioni locali, poichè aprirebbero la strada alle industrie europee che aumenterebbero il loro numero di piantagioni su larga scala, legate all'agricoltura industriale, così come per le industrie del pesce e tutte quelle operazioni indirizzare all'esportazione agricola.
In particolare, uno dei settori sicuramente più colpiti dagli APE/EPA in Africa è quello della pesca. "Le tariffe per il commercio dei prodotti ittici sono chiaramente create per proteggere le industrie della pesca con sede legale in Europa, e garantirgli tutta la flessibilità possibile per rifornirsi di pesce al prezzo più basso nei mercati africani. [...] In questo modo, i pescatori africani sono costretti ad esportare prodotti ittici non lavorati a basso costo, mentre il pesce in scatola europeo inonda i mercati locali". Le conseguenze di questo sistema perverso per i pescatori di piccola scala sono evidenti: un aumento spropositato di persone che non possono più vivere del loro lavoro (la pesca); sempre maggiori casi di pesca illegale lungo le coste; declino delle riserve ittiche dovuto all'over-fishing.
Qui l'articolo originale di Grain. Da leggere.