Frontiere di morte e un'umanità in cerca di futuro
27 giugno 2019
Dovremmo avere tutti stampate negli occhi e nella mente le immagini del bambino curdo di tre anni, Aylan Kurdi, annegato nel 2015 davanti alle coste della Turchia. E oggi dovremmo stamparci anche le immagini di Oscar Alberto Martinez, un uomo del Salvador, e di sua figlia, la piccola Angie Valeria. Entrambi sono stati trovati morti annegati in un canneto nel tentativo di attraversare clandestinamente la frontiera tra Messico e Stati Uniti.
Queste tragiche morti e quelle dei tanti di cui non conosceremo neppure il nome, si potevano e dovevano evitare: dovrebbe essere il primo compito delle autorità a ogni livello. È ora di ragionare seriamente su come gestire l’integrazione dei migranti e dei profughi invece di negarne l’esistenza e la vita; è ora di finanziare seriamente, con interventi di qualità, con alti livelli di coordinamento e con risorse economiche adeguate, iniziative che permettano alle persone di vivere dignitosamente nel proprio luogo d’origine.
Il lavoro che come Terra Nuova portiamo avanti da decenni in Centroamerica, in Africa occidentale o nel Corno d’Africa, ci mettono a contatto con la realtà quotidiana di villaggi, famiglie e persone che vivono in condizioni assai diverse dai nostri luoghi d’origine in Italia. Questo riteniamo ci offra un punto di vista solido, approfondito e non superficiale sulla realtà di provenienza di quelle centinaia di migliaia di persone che si muovono fuggendo da guerre, violenze, perdita dei mezzi di sussistenza, mancanza di prospettive e che arrivano sulle nostre coste o nelle nostre città.
Poche delle persone che prendono decisioni sulle politiche migratorie in Italia, pochissimi giornalisti e ancora meno tra coloro che sparano giudizi e tweet sui social network, hanno mai vissuto per periodi lunghi, come facciamo noi, nei contesti d’origine dei flussi migratori. Questo non ci garantisce di avere ‘la verità in tasca’, ma ci da il diritto e il dovere di dire che se intere famiglie abbandonano la loro casa, se i giovani lasciano genitori e coetanei per iniziare una rischiosissima traversata non è per spirito d’avventura o per leggerezza. Ad esempio, tutti in Mali sanno che il rischio di morire cercando di raggiungere l’Europa è altissimo, ma le condizioni di vita in un Paese dilaniato da una guerra civile e poverissimo non lasciano alternative.
In Salvador - il Paese da cui scappavano Angie Valeria e il suo papà Oscar Alberto Martinez - Terra Nuova è presente da anni; questo piccolo Stato del Centroamerica è da tempo lo Stato non in guerra con il più alto numero di omicidi. In un Paese di giovani (l’età media della popolazione è di 24 anni; in Italia 45), la mancanza di prospettive di educazione di qualità, lavoro dignitoso e reddito, unita con le cicatrici mai del tutto sanate della guerra civile che in dodici anni fece almeno 75mila vittime, generano una tensione che non lascia che due opzioni: il tentativo di raggiungere gli Stati Uniti e lavorare duramente ma con un minimo di garanzie e tranquillità, oppure il reclutamento nelle bande criminali giovanili, che controllano gran parte del paese e vivono di piccole vessazioni contro la gente, estorcono il ‘pizzo’ al 70% degli esercizi commerciali, gestiscono il traffico di armi, persone e droga. Nel nostro piccolo, Terra Nuova opera con iniziative che vanno nella direzione contraria di generare spazi di partecipazione, auto-impiego, libera espressione per i giovani. Ma non è semplice.
Il nostro punto di vista non è quindi uno slogan; non viene da comodi uffici con aria condizionata; non si riempie di buoni sentimenti. Non siamo ‘buonisti’, perché questo vorrebbe dire fare discorsi di principio, vuoti e privi di conoscenza e concretezza. Siamo in prima linea, lavoriamo con le persone e cerchiamo di capirne i sentimenti e le logiche, e diciamo: non si fermeranno i dannati della terra con muri e fili spinati; non ha senso dal punto di vista pratico cercare di separare chi scappa da un conflitto armato riconosciuto, chi dagli effetti della siccità e del cambiamento climatico, chi dalla povertà.
I governi che con le loro legislazioni restrittive hanno facilitato il crescere delle mafie che gestiscono il traffico di persone sono i primi responsabili di queste nuove schiavitù.