Esperienze dal Burundi: forti, "totali" ma interrotte

2 Dicembre 2015 - Le notizie che arrivano dal Burundi sono ancora drammatiche. Dal mese di aprile si susseguono proteste di una parte della popolazione contro la rielezione per la terza volta consecutiva del Presidente Pierre Nkurunziza, in processi elettorali macchiati dal dubbio di brogli. In questo periodo vi è stato un crescendo di violenze, e si teme che il Paese precipiti nuovamente in una spirale di guerra civile, che renderebbe nuovamente instabile tutta la regione dei grandi laghi.

Proprio in questi giorni tra l’altro, quasi a riattizzare cicatrici ancora aperte, alcuni documenti de-secretati segnalano forti sottovalutazioni se non complicità di alti ufficiali di stanza in Ruanda, nel genocidio avvenuto in quel Paese a metà degli anni Novanta de secolo scorso.

Recentemente, una coppia di giovani bresciani di V.I.S.P.E., un’associazione di cooperazione che appoggia una missione nel nord del Paese, ha vissuto un’esperienza di volontariato proprio in Burundi. Ci hanno scritto uno struggente ricordo di quel periodo di cui citiamo alcuni brani: “La missione si trova ai piedi della collina di Mutoyi, che in kirundi significa “piccolo”, e quindi i missionari l’hanno soprannominata negli anni “piccolo buco”; si immerge completamente nella natura delle alte colline burundesi, ricche di anarchica e naturale vegetazione, stupenda coi suoi eucalipti alti come grattaceli; a Mutoyi è proprio come stare in un buco, le cui pareti sono fatte di terra rossa, tronchi e chiome. Uscendo di casa, fuori dal cancelletto prendevamo subito a destra, subito su per la ripida collina, col naso per terra, insieme alla lingua. Sali, sali e sali ancora per quasi un’ora, che sotto il cocente sole africano sembra un’eternità. Mentre sali le pareti di quel buco sembra non finiscano mai. Sempre terra e tronchi e chiome e sassi. Ad un certo punto, però, senti un leggera brezza che ti accarezza la schiena, come una dolce mano che ti chiama, esci alla luce della verde erba e ti volti: di fronte a te l’infinito, colline verdi, rigogliose, generose, che immobili danzano davanti ai tuoi occhi come un oceano, fino all’orizzonte ed oltre. Sopra di loro solo qualche nuvola ed il cielo, ti sembra di essere sul tetto del mondo.”

Stefano e Jessica hanno lavorato nell’ospedale di Mutoyi (“uno dei luoghi più poveri di uno degli stati più poveri al mondo”, come scrivono) e  nella vicina scuola superiore, ma anche -soprattutto Jennifer- in una struttura di accoglienza per bambini dimessi dal reparto pediatrico  dell’ospedale, o orfani. E poi, ogni due settimane nel dispensario della vicina missione di Bugenyuzi, offrendo consulenze fisioterapiche. Un’esperienza forte e ‘totale’.

Ma come scrivono: “Dopo qualche mese, la nostra esperienza è stata interrotta a causa dell’acuirsi delle tensioni politiche e sociali nel Paese, che in parte affondano ancora le loro radici nella troppo recente storia di conflitto fra le due principali etnie locali, Tutsi e Hutu, di cui abbiamo molto sentito parlare a proposito della concomitante guerra civile che ha coinvolto negli anni ‘90 anche il Ruanda”.