Diritto alla terra e pari opportunità in Mali

8 marzo 2017 - Nonostante le donne rappresentino il 60% di chi coltiva la terra in Africa, il loro diritto a questo bene primario non è ancora pienamente riconosciuto. Ma Terra Nuova, in collaborazione con Iscos e Re.Te, sta portando avanti un progetto in Mali per rafforzare la resilienza delle comunità locali (e in particolare delle donne) e migliorare i servizi di base sanitari ed educativi, nel ‘cercle’ di Koro.
Ne parla il giornalista Vincenzo Giardina in un articolo apparso sul mensile dell'AICS "La Cooperazione Italiana informa" e che riportiamo qui di seguito.
Buona lettura!

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Se il diritto alla terra fosse riconosciuto anche alle donne, nel mondo ci sarebbero 150 milioni di  affamati in meno. A ricordarlo è stato di recente il commissario europeo per la Cooperazione e lo sviluppo internazionale, Neven Mimica, in un convegno promosso insieme alle agenzie specializzate dell’Onu, concordi nel sottolineare che la nuova frontiera del cambiamento deve essere l’Africa. Un continente in cui le donne, come confermato da stime della Fao, costituiscono addirittura il 60 per cento delle braccia nei campi: un primato mondiale, senza confronti né in America Latina (20 per cento) né nell’insieme dei paesi in via di sviluppo (45 per cento). Si tratta, comunque, di un dato da leggere incrociando altre statistiche: solo in un caso su cinque, infatti, gli appezzamenti sono proprietà di coltivatrici, che pure lavorerebbero in media 13 ore in più la settimana rispetto agli uomini.
La priorità dunque è l’Africa, dove le donne costituiscono la spina dorsale dell’economia ma restano senza terra. Con una buona notizia, però: il cambiamento è difficile, non impossibile. Prendete il Mali.
A Bamako è stato approvato un disegno di legge che prevede l’assegnazione del 10 per cento delle terre statali a coltivatrici e cooperative tutte al femminile. La prima bozza risale al 2015 e, dopo mesi di
consultazioni con i rappresentanti della Federazione nazionale delle donne rurali (Fenafer) e di altre organizzazioni della società civile, il testo è giunto all’esame del parlamento. “Il dibattito è stato molto partecipato e nel complesso i risultati sembrano positivi”, sottolinea Flavio Signore, responsabile locale dei progetti per la sicurezza alimentare di Iscos, Ong italiana in prima fila in Mali. “Con la nuova legge
alle donne dovrebbe essere garantito accesso esclusivo al 10 per cento dei terreni statali pagando un affitto da 65 mila franchi Cfa l’anno, l’equivalente di 105 dollari”.
Il testo rappresenta un compromesso, riguardando le proprietà pubbliche senza entrare nel merito del diritto privato e di famiglia. “Il peso della tradizione resta forte, addirittura schiacciante nei casi di vendita o eredità”, sottolinea Signore. “Chi perde il marito perde spesso anche la terra, che va alla famiglia del defunto seguendo la linea di trasmissione maschile”. Dinamiche che Iscos, in sinergia con altre due Ong – Terranuova e Re.te – sta cercando di contrastare. Nel 2015, con i finanziamenti della Cooperazione italiana, sono stati avviati progetti che sostengono allo stesso tempo i diritti delle donne e la sicurezza alimentare. Una delle priorità è la distribuzione di semi, concimi e attrezzature indispensabili per rendere più efficienti le cooperative femminili, veri attori chiave del progetto: sono loro a produrre le farine a base vegetale consegnate nei “Centres de santé communautaire” delle regioni dove la malnutrizione colpisce di più.
A evidenziare il nesso tra lotta contro disparità di genere e contrasto alla povertà è anche il governo di Bamako. “Le coltivatrici producono il 70 per cento del cibo del Mali eppure non hanno alcuna indipendenza economica”, sottolinea Oumou Bah, ministro per la Promozione delle donne, dei bambini e delle famiglie. Convinta che sia necessario valorizzare l’agricoltura femminile, con la tradizionale cura degli orti e produzioni alternative ai cereali, dalle melanzane ai fagioli ai pomodori, anche per arricchire la dieta. Temi decisivi in Mali, dove la malnutrizione compromette la crescita di un bambino su quattro, ma non solo. Lo confermano i responsabili di Pasneeg, un progetto di formazione, “advocacy” e sensibilizzazione per la parità di genere in Senegal, anch’esso finanziato dalla Cooperazione italiana. “La legge prevede che le coltivatrici accedano alla terra per successione come gli uomini ma purtroppo viene applicata di rado e le pratiche consuetudinarie restano dominanti”, spiega Anna Maria Pinto, una delle animatrici dell’iniziativa. “Secondo gli ultimi studi, in Senegal solo il 18 per cento delle donne dice di aver ottenuto la terra in eredità a fronte di un dato maschile superiore al 68 per cento”.
Ma la parità di genere, soprattutto, conviene. “Le donne destinano fino al 90 per cento dei loro guadagni alla famiglia, in particolare per la nutrizione, la salute e l’istruzione”, sottolinea José Graziano da Silva, il direttore generale della Fao. “Investire in un uomo significa investire in una persona, puntare su una donna vuol dire far crescere una comunità”. Una convinzione che diviene più forte, pagina dopo
pagina, sfogliando un rapporto del Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo (Undp). Dal 2010 le disparità di genere sono costate all’Africa ogni anno 95 miliardi di dollari, l’equivalente delle risorse
necessarie per colmare un altro divario, pure decisivo nella lotta contro la povertà: quello delle infrastrutture.
 
(di Vincenzo Giardina)