8 Marzo: Rifugiate e non, la lunga lotta delle donne.

8 marzo 2016 - Il tema della Giornata internazionale della donna per quest’anno, voluto dal Parlamento Europeo, è "Le donne rifugiate e richiedenti asilo nell'Unione Europea". Una questione terribilmente personale e non solo perché chi scrive è una donna, ma soprattutto perché non può non riguardarci direttamente.

Come, ad esempio, la storia di Rasha  - raccontata da Lettera43 - giovane mamma siriana in attesa, da giorni, davanti al muro che separa la Serbia dall’Ungheria con la sua bambina di 6 anni: ma un confine non è che una linea ideale tracciata su una mappa che non impedisce alle radici di un albero di allungarsi o a un uccello di migrare. Negare le possibilità di sopravvivenza a queste due donne in fuga dalla guerra, apre una ferita in ognuno di noi. E non è solo l’empatia che urla e che si aizza di fronte a un testo o a un’immagine per poi acquietarsi nel quieto tran-tran quotidiano. E’ proprio una ferita che sanguina perché ci riguarda direttamente. E’ un colpo inferto sulla nostra pelle di uomini e donne vive.

Cos’è questo fiume dell’indifferenza in cui ci siamo volutamente immersi? “È il cimitero della dignità europea” ha risposto Iratxe Garcia Perez, responsabile della commissione sui Diritti delle donne e Uguaglianza di genere, aprendo il seminario ‘Donne rifugiate e richiedenti asilo nell’Unione Europea’, tenutosi al Parlamento Europeo di Bruxelles qualche giorno fa. Secondo i dati dell’UNHCR, infatti, dei 900 mila migranti, per lo più siriani, arrivati sulle nostre coste nel 2015, il 38% era costituito da donne e bambini. Nell’anno in corso, fino ad oggi, questa percentuale è salita al 55%.

Inoltre, uno studio del Parlamento Europeo presentato nell’ambito del seminario citato sulla situazione delle donne in fuga, chiarisce che se la situazione dei migranti di sesso maschile è in generale estremamente difficile, per le donne lo è ancora di più. Anche fuori dai CIE e dai CARA e in presenza di un foglio che attesti la protezione internazionale. Il mercato di lavoro, infatti, per le persone di sesso femminile è generalmente molto più chiuso rispetto a quelle di sesso maschile anche a causa della minore conoscenza della lingua del paese ospitante, spesso per retaggi familiari o per le difficoltà di integrare lo studio con i doveri della cura della casa e dei figli. In assenza di un impiego, poi, è estremamente difficile riuscire ad accedere ai servizi di nursery e, di conseguenza, la partecipazione ad attività di formazione è spesso preclusa.  Un cane che si morde la coda, insomma. Ma quando si assiste ad una donna che riesce, nonostante tutte le difficoltà, a prendere un attestato scolastico perché quello ricevuto nel proprio paese qui non è riconosciuto, si apprende sempre qualcosa. Come nel caso di T. una donna africana che nonostante avesse partorito da meno di una settimana è riuscita a superare brillantemente un esame di abilitazione professionale con un delizioso, minuscolo bambino, attaccato al seno e avvolto in una sciarpa per tutta la durata della prova.

Altre, la maggior parte poi, non riescono a trovare nulla se non attività di assistenza agli anziani o di pulizia della casa. Anche quando, in quella che sembra un’altra vita, erano medici o infermiere. Come L., ostetrica, che aveva una bella casa e un lavoro che adorava in Siria a cui, qui, non ha più accesso. Ma a complicare tutto questo c’è anche la difficoltà a trovare un alloggio stabile e adeguato che le metta al riparo da violenze e soprusi.  Oppure la facilità con cui le donne immigrate sono vittime di violenza domestica “perché i mariti rifugiati, frustrati dalle difficoltà nell’accesso al mercato del lavoro o ai processi decisionali nel paese ospitante, potrebbero essere spinti a tentare di affermare la propria autorità con comportamenti violenti nei confronti delle mogli”.

Oggi, alcuni eurodeputati, appartenenti a tutti gli schieramenti e a tutte le nazionalità, chiederanno che il Parlamento europeo voti a favore di una risoluzione che contenga misure specifiche per le donne rifugiate o richiedenti asilo come bagni separati nei luoghi di accoglienza, personale medico femminile e specializzato a trattare donne vittime di abusi e traumi sessuali, funzionari e interpreti.

Ci auguriamo una svolta su questo tema e che non si fermi la lotta per il raggiungimento della parità di genere ovunque nel mondo. Perché, per dirla alla Alda Merini, queste donne  “granello di colpa anche agli occhi Dio, sappiano come sempre “diventare grandi come la terra e innalzare il loro canto d’amore”.

Foto | @Europarlamento